Home / Recensioni / True Detective: la recensione dei primi due episodi della terza stagione
True Detective

True Detective: la recensione dei primi due episodi della terza stagione

La terza stagione di True detective, in versione originale, è disponibile dal 14 gennaio su Sky Atlantic. Interamente scritta da Nick Pizzolatto, che ha ideato anche le prime due stagioni, la serie vede tra i protagonisti Mahershala Ali, Stephen Dorff e Carmen Ejogo.

True Detective: la sinossi

Mahershala Ali

Il detective Wayne Hays (Mahershala Ali) viene interrogato su un vecchio caso – apparentemente risolto – dell’uccisione di due ragazzini in Arkansas. Durante l’interrogatorio, riemergono nella memoria di Hays traumi che egli credeva ormai sopiti: dalla tragedia della scomparsa dei Purcell, forse vittime di una setta satanica, ai commossi ricordi della moglie recentemente scomparsa, che il detective conobbe proprio nel corso delle indagini. A distanza di anni un riscontro indiziario, riconducibile alla piccola Purcell, riapre non solo il caso di duplice omicidio, ma anche ferite profondissime nel cuore del detective. Costretto, di nuovo, a tornare su un caso ancora aperto.

True Detective: le nostre impressioni

Dopo il parziale insuccesso della seconda stagione di True detective, il terzo filone della serie antologica creata da Nick Pizolatto sembra virare su strutture, tematiche ed ambientazioni simili a quelle della stagione d’esordio. La storia, infatti, parte dall’interrogatorio al detective Hays e si dipana lungo tre assi narrativo/temporali: quello legato ai tempi degli omicidi, con annesse le relative indagini; quello che vede il protagonista deporre dinnanzi ai colleghi per portare alla luce eventuali errori commessi nel corso delle indagini; infine, quello che vede un ormai anziano Hays testimoniare per un programma televisivo la sua storia professionale e sentimentale.

Mahershala Ali

Grazie ad un avvincente gioco di continui rimandi effettuato in fase di montaggio, come di consueto il puzzle si costruisce pian piano. Da quanto emerso nel corso delle prime due puntate, è lecito aspettarsi che tutto l’intreccio di True detective 3 sarà costruito sul continuo rimando tra i diversi assi temporali che andranno completandosi l’un l’altro. Flashback continui, indizi sapientemente – e lentamente – disseminati e parecchie zone d’ombra: questi i canoni narrativi, veri e propri marchi di fabbrica del creatore Pizzolatto.

Un demiurgo che, evidentemente scottato dal mezzo fiasco della seconda stagione, sceglie di riproporre dei personaggi già visti nel corso della prima stagione. Il detective Hays ad esempio, interpretato da Mahershala Ali, ricorda un po’ troppo il predecessore Rust Cohle, cui prestava il volto il ben più convincente Matthew McConaughey. Metà santone e prosaico veggente, metà segugio investigativo, Hays ripropone la figura sincretistica che mescola metodi d’indagine non convenzionali, illuminazioni mistiche e scompensi alcolici. Anche il partner di Hays, Roland West – interpretato dall’impalpabile Stephen Dorff – ricalca con toni decisamente depotenziati la lucida razionalità ed il ferreo pragmatismo del detective Marty Hart, interpretato in modo più superbo da Woody Harrelson nel corso della prima stagione. Nel complesso, i due personaggi risultano carenti, sebbene per motivi diversi: Hays risulta poco più che un clone; West rivela invece una sostanziale debolezza in fase di scrittura: troppo marginale il suo apporto ai fini della narrazione, e troppo debole il suo personaggio in relazione al suo collega.

Sotto la direzione di Jeremy Saulnier, i primi due episodi di True detective 3 ricordano parecchio anche l’ambientazione della prima stagione, in cui la vicenda ha come sfondo la profonda provincia americana. In questo caso è l’Arkansas ad ospitare storie di ordinaria marginalità, povertà e piccoli drammi e tormenti familiari. La semantica profonda è in realtà abbastanza manifesta: l’irrompere sulla scena di un orrore difficilmente spiegabile, soprattutto per quella gente che vede nel mito della piccola comunità suburbana la propria cornice di riferimento. Anche questo, purtroppo, non gioverà al successo di True detective 3, che non si discosta dalla prima stagione nemmeno per quanto riguarda la realizzazione tecnica. Una fotografia con pochissimo colore, dove i toni grigi e freddi dominano incontrastati; dove i dialoghi tra i due protagonisti, negli spazi angusti dell’abitacolo delle auto della polizia, fissano lo sviluppo della storia in inquadrature pressoché immobili; dove il degrado suburbano – mai esibito forzatamente, eppure a buon diritto annoverabile tra i coprotagonisti della storia – emerge grazie ad una ripresa quasi sempre oggettiva, con pochissimo spazio concesso allo spettacolo o all’estro registico.

Mahershala Ali in True Detective

Spiace, infine, sottolineare la pochezza di certe scelte narrative, che lo spettatore affezionato alla serie non mancherà di riconoscere con una certa irritazione. Riproporre violenze e abusi sui ragazzini, probabili scenari satanici e discutibili (e scopiazzati) oggetti totemici rende, fino ad ora, l’intera operazione piuttosto discutibile e poco difendibile. Solo la pista del thriller, intersecata ad alcuni stilemi del poliziesco, pare promettere sviluppi innovativi. Troppo poco, per una stagione che allo stato attuale avrà non poche difficoltà.

True Detective - 3.01/3.02

Valutazione globale - 6

6

Esteticamente ineccepibile, ma assolutamente poco originale

User Rating: Be the first one !

True Detective: giudizio in sintesi

Stephen Dorff e Mahershala Ali

I primi due episodi della terza stagione di True detective 3 sembrano nient’altro che la risposta capziosa all’insuccesso della stagione precedente. In tal senso, il creatore Nick Pizolatto opera un’inversione di rotta e ripropone tematiche, personaggi ed ambientazioni fin troppo simili a quelli della stagione d’esordio. Che tuttavia aveva il pregio di essere appunto la prima, e di giocare su un terreno parzialmente nuovo. I primi due episodi di True detective 3 non hanno nulla di innovativo neppure dal punto di vista narrativo, basandosi su flashback e su piani narrativo/temporali distinti ma interrelati. Tra le prove attoriali, che pur non sono indimenticabili, l’unica degna di nota è quella del protagonista Mahershala Ali, mentre del tutto impalpabile risulta il suo collega, Stephen Dorff, che sconta anche la pochezza di un coprotagonista creato con poche idee e mordente. I toni cupi ed i colori grigi sono esteticamente e tecnicamente ineccepibili, sebben – ancora una volta – assolutamente poco originali.

Per ogni notizia e aggiornamento sul mondo dello spettacolo, cinema, tv e libri, vi consigliamo di seguire la nostra pagina Facebook

About Vito Piazza

Tutto inizia con Jurassic Park, e il sogno di un bambino di voler "fare i film", senza sapere nemmeno cosa significasse. Col tempo la passione diventa patologica, colpa prevalentemente di Kubrick, Lynch, Haneke, Von Trier e decine di altri. E con la consapevolezza incrollabile che, come diceva il maestro: "Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato".

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *