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The Handmaid's Tale: recensione della terza stagione

The Handmaid’s Tale: recensione della terza stagione della serie Hulu

Si è conclusa la terza stagione di The Handmaid’s Tale, andata in onda sulla Hulu in America e su Tim Vision in Italia. Già sappiamo che la serie continuerà con una quarta stagione, che potrebbe uscire già l’anno prossimo. Il cast della terza stagione è sempre composto da Elisabeth Moss, Joseph Fiennes, Yvonne Strahovski e Alexis Bledel. ATTENZIONE: la recensione contiene numerosi SPOILER.

The Handmaid’s Tale – terza stagione: sinossi

June (Elisabeth Moss) è riuscita alla fine della scorsa stagione a far fuggire Emily (Alexis Bledel) con la figlia avuta con Nick (Max Minghella), grazie all’aiuto coordinato di un gruppo di Marta e al contributo fondamentale del Comandante Joseph Lawrence (Bradley Whitford). June era stata in grado di convincere Serena (Yvonne Strahovski) a lasciar andare la piccola Nicole, facendo leva su un suo momento di debolezza e ragionevolezza, ma l’incontrastabile desiderio della Moglie di avere una figlia tutta per sé farà ritornare Serena sui passi compiuti. Dopo una crisi coniugale, tornerà dal marito Fred (Joseph Fiennes) con l’intenzione di riprendersi la piccola, che nel frattempo è arrivata sana e salva in Canada, dove Emily è riuscita a ritrovare Moira, Luke e la sua compagna di “prima”. June intanto viene riassegnata al Comandante Joseph, che, ormai piuttosto pentito tanto quanto sua moglie Eleanor, si comporta in modo poco ortodosso rispetto alle regole di Gilead, che lui stesso ha in parte ideato e costruito. La nuova sistemazione permetterà quindi a June di cominciare ad organizzare nuovi progetti e trame per cercar di salvare sua figlia Hannah e di lottare contro l’oppressione di Gilead, ma non sarà affatto facile…

The Handmaid’s Tale – terza stagione: le nostre impressioni

La terza stagione di The Handmaid’s Tale si riconferma come uno show di grande effetto e di grande impatto, sia sul piano contenutistico sia sul piano estetico. Coerente con le due stagioni precedenti e ormai diretto su binari indipendenti rispetto al romanzo di Margaret Atwood, benché diversi ed espliciti siano ancora i rimandi ad alcuni passaggi e scene tratte dalle pagine del volume, uscito nel 1985, ma ad oggi terribilmente attuale.

The Handmaid's Tale: recensione della terza stagione

Non viene abbandonato lo stile con cui sono state forgiate le prime due stagioni: tornano le immagini dalle tinte desaturate nelle quali spicca il rosso e il bianco degli abiti delle ancelle; il montaggio quasi brutale che permette l’accostamento di spaccati di vita nel mondo distopico di Gilead; le scene al rallenti in grado di tenerci con il fiato sospeso; l’abbondanza di primi piani claustrofobici alternata a piani lunghi e lunghissimi in grado di rendere omaggio a delle sontuose coreografie corali, capaci di espandere la profondità del piccolo schermo e farci entrare in un mondo rigidamente organizzato in ogni suo minimo dettaglio. La suspense è assai calcata ed enfatizzata in ogni episodio di questa stagione, sia essa dovuta ad una rapida e imprevedibile concatenazione di eventi o ad una stasi straniante ed opprimente, fatta di sguardi, una di fiducia che si sgretola, di odio reciproco ma non manifesto.

The Handmaid's Tale: recensione della terza stagione

La terza stagione non si risparmia nemmeno sulla crudezza di contenuti violenti cui non siamo mai sufficientemente abituati. A ciò che abbiamo visto nelle prime due stagioni, si aggiungono episodi e altri dettagli di un mondo spietato, crudele, violento e repressivo, in cui le ancelle oltre a subire abusi e soprusi continui possono essere rese completamente mute e inermi (si vedano le Ancelle di Washington, cui viene letteralmente chiusa la bocca con una serie di anelli); in cui non è possibile fidarsi di nessuno, come accade a June che, per colpa della soffiata della sua compagna di passeggiate, perde non solo l’occasione di vedere di sfuggita sua figlia Hannah, ma potenzialmente di non vederla più, dal momento che questa viene allontanata, senza che si sappia dove; in cui le ingiuste esecuzioni pubbliche sono organizzate al millimetro, come vediamo nella conseguente impiccagione della Marta e della guardia che avevano cercato di aiutare June a vedere Hannah.

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Tuttavia, come anche nelle precedenti stagioni, un po’ di respiro ci viene concesso attraverso la presenza e le azioni di alcuni personaggi altruisti e disposti ad aiutare la protagonista se non addirittura a combattere silenziosamente Gilead. E in questa stagione non mancano delle grandi soddisfazioni, che anche noi spettatori empatici, in fondo, ci siamo meritati. Ad esempio è interessante poter conoscere più da vicino la coppia dei Lawrence, che avevamo incontrato brevemente alla fine della seconda stagione, dilaniata da un trascorso controverso che ha portato Joseph a ripensare radicalmente a ciò che ha fatto, ma che ha trascinato Eleanor verso un esaurimento nervoso. Curiosa, ma anche un po’ sfuggente è la gestione del personaggio di Serena, che nel corso della stagione muta continuamente il suo atteggiamento così come i suoi intenti: da madre mancata e risoluta a preservare il bene della figlia a donna terribilmente determinata a riaverla tra le sue braccia opportuniste, da persona quasi comprensiva ed empatica nei confronti di June a carnefice insensibile e offensiva come l’avevamo vista in partenza. Come ultimo stadio della sua maturazione, che da un certo punto della serie diventa piuttosto prevedibile, Serena finisce per diventare un’astuta manipolatrice, in grado di ingannare e “vendere” persino suo marito per realizzare il suo sogno, proprio come lui aveva fatto con lei, mandando in cenere il loro matrimonio.

Le prove di tutto il cast sono sempre ammirevoli, da Elisabeth Moss che domina lo schermo con le microespressioni del viso, consumato dalle sue sventure, all’algida Yvonne Strahovski, dal misterioso Comandante Lawrence, che oscilla tra il suo carattere pavido e ligio al dovere e il suo slancio rivoluzioario da uomo di cultura a voler cambiare le cose, alla terribile Zia Lydia, che, benché crudele figura di potere, a tratti non riesce a trattenere le emozioni.

The Handmaid's Tale: recensione della terza stagione

Pertanto, The Handmaid’s Tale conserva un fascino assolutamente originale proprio perché brutale e terribilmente verosimile, specialmente alla luce della recente evoluzione delle politiche sociali in diverse parti del mondo, nemmeno troppo lontane dalla nostra dimora. I continui flashback che, come piccoli tasselli di un nebuloso mosaico, permettono di ricostruire vagamente gli eventi del “prima”, di mostrare la “normalità” dei personaggi che non hanno saputo comprendere la portata di una situazione che stava drammaticamente precipitando, nonché di mettere potenzialmente a disagio gli spettatori, che da un giorno all’altro potrebbero ritrovarsi ad essere vittime o carnefici in una simile situazione. In tal senso si dimostra nuovamente in linea con il romanzo, nel quale il lettore viene radicalmente coinvolto nella vicenda e altalenato in modo imprevedibile tra presente e passato.

Tuttavia, questa terza stagione si dimostra nel complesso meno costante rispetto alle altre. Nelle precedenti, lo sviluppo della vicenda e dei personaggi avveniva in modo più graduale, progressivo, parabolico, mentre in questa terza parte spesso e volentieri personaggi e fatti sono caratterizzati da un percorso che cambia continuamente direzione, a volte persino troppo. Poca soddisfazione e molte perplessità sono generate dalla presenza, per esempio, di episodi di raccordo che avrebbero potuto essere gestiti molto diversamente. L’episodio interamente dedicato a Zia Lydia e al suo “trauma” emotivo risulta un po’ stucchevole e poco interessante alla luce di una vicenda che si sta evolvendo in modo esponenziale, così come l’episodio che vede June al capezzale della sua odiata compagna che si trova in coma in ospedale. Quest’ultimo è sì essenziale allo sviluppo successivo della trama nella parte finale della terza stagione, cioè alla maturazione del progetto di far segretamente scappare più bambini possibile da Gilead, ma nel complesso e specialmente in confronto ad altri episodi la sua fruizione risulta un po’ faticosa e difficile.

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Un altro tratto un po’ curioso, che può rappresentare un merito così come una trovata che pecca un po’ di originalità è infine la sostanziale specularità della macrostruttura tra la terza stagione e la seconda: hanno uno sviluppo generale piuttosto simile ed entrambi si concludono con una fuga organizzata, la seconda stagione con la fuga di Emily e Nicole mentre la terza con un aereo pieno di bambini e di diverse Marta che fungono da accompagnatrici e guide. Ciò risponde in effetti al progetto inaugurale di espansione della portata della ribellione di June, organizzata sempre di nascosto, silenziosamente. A dove poterà tutto ciò? Siamo chiaramente curiosi di saperne di più, anche se speriamo che la serie non affoghi troppo nei suoi intenti e che, specialmente, la materia non venga funzionalmente “diluita” troppo da episodi di raccordo.

Da notare inoltre è la poderosa e piuttosto evidente strizzata d’occhio a Breaking Bad: tra i fan della serie, chi non ha pensato all’omissione di soccorso da parte di Walter White nei confronti di Jane mentre muore di overdose, nel momento in cui June, per riuscire a portare a termine il suo progetto senza ulteriori preoccupazioni, decide di non salvare Eleanor che sta soffocando nel sonno dopo aver ingerito volutamente una ingente quantità di sonniferi? Si tratta di un segnale non troppo velato del fatto che June si sta trasformando in una figura di riferimento per la ribellione contro Gilead? La conferma, in questo caso, potrebbe essere il suo gesto estremo, che vediamo negli ultimi minuti dell’ultimo episodio, che dimostra che June ormai è in grado persino di uccidere, pur di portare a termine ciò che si è prefissata. D’altra parte, come dice anche Fred Waterford a Luke nella sua cella da in Canada, June non è più la stessa perché Gilead l’ha cambiata radicalmente.

The Handmaid's Tale

valutazione globale - 7.5

7.5

Una terza parte brutale e coerente con le precedenti, ma con qualche piccola pecca

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The Handmaid’s Tale – terza stagione: giudizio in sintesi

La terza stagione di The Handmaid’s Tale si dimostra in linea con le parti precedenti e rimane piuttosto coerente anche a diversi tratti del romanzo della Atwood, che fortunatamente è rimasta finora una figura essenziale e sempre vigile nello sviluppo della sceneggiatura. Il cast riconferma le sue doti ammirevoli e i contenuti piuttosto grevi sono sostenuti da un’estetica convincente e in linea con il contesto del genere distopico. Tuttavia, lo sviluppo di alcuni passaggi della trama e dello sviluppo di alcuni personaggi, specialmente quello di Serena, convincono un po’ meno per il continuo cambio di direzione che essi subiscono. Poco convincenti sono gli episodi di raccordo, che minacciano il futuro sviluppo della storia: diluire troppo o creare troppe parentesi diventa un’operazione dispersiva, anche nelle migliori serie. Proprio per questo, per quanto ci si possa affezionare a questa complessa e durissima serie, ci auguriamo sinceramente che non venga tirata esageratamente per le lunghe per meri interessi commerciali.

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