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Stranger Things

Stranger Things: Recensione Chapter One – The Vanishing of Will Byers

Consigli per gli acquisti estivi, lo diciamo subito: Stranger Things sembra proprio meritare una visione. Questa recensione si limiterà solamente al pilot, per darvi un primo giudizio e un consiglio un po’ più approfondito rispetto a quello iniziale, senza andare a spoilerare nulla, perché appena avremo finito di vedere la serie che è già tutta disponibile sulla piattaforma Netflix, saremo prontamente a darvi un giudizio ricco di dettagli.

Cos’è Stranger Things

Stranger ThingsStranger Things è un thriller psicologico, suddiviso in otto capitoli, che racconta di una sparizione, come si può intuire dal titolo del primo capitolo, e che è ambientato nella classica cittadina di “campagna” del mid-something americano (qui siamo in Indiana). Proprio uno di quei paseotti indistiguibili, tutti uguali, del classico immaginario costruito dal film sulla provincia americana, ma che nasconde ben più di un fondo di verità.

L’altra parte dell’ambientazione, poi, determinato il luogo, è il tempo. Siamo agli inizi degli anni 80, con tutto il loro carico di iconografia, che soprattutto in questi anni di melanconia è diventata quasi uno sguardo iconico su quella società piena di speranza per il futuro anche se spesso leggera, a volte nerd, decisamente disimpegnata che arrivava dopo i difficili anni 70.

Un’era che ha creato diversi miti e una simbologia tutta sua che qui ritroviamo appieno in tutta la sua potenza visiva. Ed è qui che subentra il primo motivo per la visione di questo show.

La carica melanconica di Stranger Things

Stranger Things L’ambientazione e la storia sono un continuo richiamo di tutto ciò che nelle nostre teste sono gli anni 80, a livello narrativo, a livello di memoria, con mille richiami alla televisione e all’immaginario Hollywoodiano, Vediamo stralci di Stand by me, richiami a Twin Peaks, scene che evocano i Goonies e poi arrivano a X-Files.  Non è tanto un richiamo di trama, quanto un evidente profumo e luce che si spargono su tutto il set e su ciò che nei nostri occhi rimane impressionato.

Ci sono le tematiche, ci sono le luci e le riprese, c’è lo stile di montaggio, ci sono i titoli di testa che fanno di questo prodotto un prodotto vintage che può sicuramente incuriosire chi di quegli anni e di quelle icone serba un buon ricordo. Ma c’è di più.

Stranger Things non è solo operazione nostalgia

Stranger ThingsPerché in effetti non è solo quello. Il prodotto è costruito e recitato bene. Ci sono momenti di tensione che vengono strutturati con maestria, specialmente “quello del telefono”, ma non solo, c’è una storia che riesce ad intrecciare con leggerezza le classiche esperienze di formazione alle trame complottistiche, dal dramma familiare al racconto più teen. Potrebbe essere un po’ di tutto, ma nel pilot questo tutto scorre molto bene, con fluidità e con una buona prestazione sia di Winona Ryder, molto madre single anni 80, sia di David Harbour, altro classico stereotipo anni 80 del poliziotto di provincia, segnato, antieroe ma capace.

Insomma, una serie da provare, soprattutto per i nostalgici degli anni 80, ma non solo, un prodotto di fattura pregevole che non lesina sorprese.

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About Andrea Sartor

Cresciuto a pane (ok, anche qualche merendina tipo girella o tegolino... you know what I mean... ) e telefilm stupidi degli anni 80 e 90, il mondo gli cambia con Milch, Weiner, Gilligan, Moffat, Sorkin, Simon e Winter. Ha pianto davanti agli uffici dell'HBO. Sogno nel cassetto: pilotare un Viper biposto con Kara Starbuck Thrace e uscire con Number Six (una a caso, naturalmente). Nutre un profondo rispetto per i ragazzi e le ragazze che lavorano duramente per preparare gli impagabili sottotitoli. Grazie ragazzi, siete splendidi

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