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Mindhunter: recensione seconda stagione

Mindhunter: la recensione della seconda stagione con Jonathan Groff

Mindhunter è apparsa per la prima volta sulla piattaforma Netflix nel 2017, lasciando agli spettatori quella curiosità sui possibili sviluppi futuri che solo un prodotto che viaggia nei meandri della mente può dare. La seconda stagione, creata da Joe Penhall e prodotta da David Fincher, è arrivata nella libreria del colosso dello streaming il 16 agosto, riconfermandosi un prodotto eccellente, disturbante al punto giusto e capace di creare suspense e tensione nonostante il ritmo narrativo non troppo cadenzato.

Mindhunter seconda stagione: sinossi

Holden Ford (Jonathan Groff) ha avuto un crollo nervoso in seguito agli interrogatori condotti col collega Bill Tench (Holt McCallany). Ma il male non riposa mai, perciò insieme al supporto della dottoressa Wendy Carr (Anna Torv) i due agenti continuano le interviste ai serial killer d’America. Ma la ricerca viene turbata da alcuni eventi personali riguardanti il figlio di Bill, coinvolto in un tragico incidente e dall’arrivo di un nuovo capo a Quantico, Ted Gunn (Michael Cerveris) che decide di inviare la squadra ad Atlanta per indagare sulla scomparsa di un numero elevato di bambini nella comunità afroamericana.

Mindhunter – seconda stagione: le nostre impressioni

Mindhunter: recensione seconda stagione

Se si poteva pensare che la prima stagione di Mindhunter non mancasse di nulla, che fosse un prodotto pienamente consapevole della sua portata, e perciò inarrivabile, la seconda stagione spiazza ogni concorrenza. Allungando lo sguardo verso la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, tra il declino della stagione hippie con i terribili atti di Charles Manson e la sua “family”, l’omicidio di Sharon Tate e il caso degli Atlanta Children Murders, Mindhunter raggiunge una finezza narrativa e una regia che non è eguagliata dalla prima stagione. Accennando in maniera ma discreta alle tensioni razziali che dilaniavano gli Stati Uniti dalle fondamenta, i primi 3 episodi, diretti da Fincher in persona, hanno quel tocco in più, forse un po’ nostalgico, che ricorda tanto grandi classici del crime come Zodiac e Seven, in un misto di tensione e dilatazione temporale che levano il respiro allo spettatore.

Mindhunter: recensione seconda stagione

Tutto in questa seconda stagione di Mindhunter diventa più corposo, condensato, andando a scavare in fondo all’analisi psicologica non solo dei serial killer, tra cui troviamo il celebre “Son of Sam”, ma anche dei detective e delle vittime, cristallizzando il dettaglio e rendendolo l’elemento chiave per la comprensione del personaggio. Questo a discapito del dialogo, certo, che appare senz’altro più rarefatto rispetto ad altri prodotti del genere, ma niente viene tralasciato. Un sapiente uso della fotografia aiuta lo spettatore a immergersi in quest’atmosfera soffocante e terribile, da nodo alla gola, giocando su toni tetri e freddi. La tematica, l’omicidio, per giunta di bambini, i colori, la colonna sonora metallica e densa, la fotografia, rendono questa seconda stagione di Mindhunter una spirale onirica di orrore e tensione.

Mindhunter: recensione seconda stagione

L’oscurità è preponderante in questa seconda stagione di Mindhunter, e viene spigionata da individui che sono come giganteschi buchi neri di malignità, che non hanno rispetto per la sacralità della vita umana. Più che mai come in questa stagione, il male arriva a colpire i protagonisti spingendo Holden nell’oscurità e Bill sull’orlo del baratro. Quanto può essere devastante per un uomo che ha votato la sua vita alle scienze comportamentali e al bene scoprire che l’oscurità, forse, si nasconde tra le sue mura domestiche? Se l’interpretazione di Groff in questa seconda stagione di Mindhunter risulta colorata dalle solite, seppur eccezionalmente interpretate, di presunzione e sicurezza, quella di McCallany diventa toccante, trascinante, mettendo in scena le vicende di un uomo che si è perso, impotente davanti al male della sua vita quotidiana.

Mindhunter

valutazione globale - 8

8

Prodotto che supera ogni aspettativa

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Mindhunter – seconda stagione: un giudizio in sintesi

La seconda stagione di Mindhunter è la prova che, a volte, i prodotti seriali possono continuare la scia positiva intrapresa già con la prima stagione, senza abbassare mai l’asticella delle aspettative. Anzi, questo nuovo ciclo di episodi è addirittura migliore del primo, se ciò può essere possibile. Una regia eccelsa, una fotografia che rarefa la sceneggiatura e non ne fa sentire la mancanza, l’atmosfera densa e cupa, il rispetto e la cura con cui vengono trattati i fatti di cronaca e un cast a fuoco rendono questa stagione di Mindhunter un successo, senza ombra di dubbio.

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About Ilaria Coppini

25, ormai laureata in Letterature e Filologie Euroamericane, titolo conseguito solo per guardare film e serie TV in lingua originale (sulle battute ci sto ancora lavorando). Almeno un'ora al giorno per vedere un episodio la trovo sempre, e Netflix è ormai il mio migliore amico. Datemi del cibo e una connessione veloce e scatenerete la binge-watcher che è in me.

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