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L'uomo che comprò la luna

L’uomo che comprò la luna: la recensione del film di Paolo Zucca

L’uomo che comprò la luna è un film di Paolo Zucca uscito nelle sale il 4 aprile, con protagonisti Jacopo Cullin, Stefano Fresi e Francesco Pannofino.

L’uomo che comprò la luna: la sinossi

L'uomo che comprò la luna

Sardegna, oggi. La notizia dell’avvenuto acquisto della Luna da parte di un ignoto cittadino di un villaggio sardo mette in subbuglio i servizi segreti americani. I due agenti Dino (Pannofino) e Pino (Fresi) vengono incaricati da un’agenzia internazionale di scoprire chi si sia arrogato una tale, storica, prerogativa statunitense. Grazie ad un infiltrato in loco, i due individuano il soldato milanese di origini sarde Kevin Pirelli aka Gavino Pischeddu (Cullin), che viene sottoposto ad un corso intensivo sotto le cure del rigidissimo pastore Badore (Urgu). Kevin, una volta arrivato nella terra natia, dovrà scoprire chi si è impossessato del satellite, oltre a recuperare il proprio retaggio culturale.

L’uomo che comprò la luna: le nostre impressioni

Stefano Fresi e Francesco Pannofino ne L'uomo che comprò la luna

A distanza di cinque anni dal suo gustoso esordio con L’Arbitro, il cagliaritano Paolo Zucca si misura con una nuova commedia ambientata nella sua Sardegna, sempre assecondando toni picareschi e surreali. Come nel precedente lavoro, Zucca presenta le vicende di un soggetto estraneo che deve confrontarsi che le asprezze e i costumi arcaici della cultura sarda, seguendo pedissequamente i passaggi narrativi codificati da Chris Vogler ne Il viaggio dell’eroe.

Il canovaccio, per certi versi, ricorda il cinema americano: il pensiero va a film come Avatar Balla coi lupi, ma al posto del pianeta Pandora o delle praterie del Far West troviamo gli spettacolari entroterra sardi fotografati da Ramiro Civita.

Stefano Accorsi, ne L’Arbitro, era mandato “in esilio” dai campi internazionali alla Terza Categoria Sarda, in uno scenario quasi western rappresentato in un bianco nero abbagliante e alcalino. Jacopo Cullin propone qui un personaggio demenziale e squinternato, che esalta le sue doti da comico slapstick già ammirate con il suo personaggio di Matzutzi, coprotagonista nel precedente lavoro di Zucca.

Jacopo Cullin ne L'uomo che comprò la luna

Tuttavia è proprio nella costruzione del suo protagonista che il film incontra uno dei maggiori punti deboli: il personaggio di Kevin Pirelli è presentato in maniera troppo approssimativa e sbrigativa, non permettendo di giustificare a dovere il conflitto interiore legato alla negazione delle sue origini. Ne emerge un protagonista povero di spessore, una docile maschera comica che si presta passivamente alle gag e alle disavventure che lo vedono protagonista in terra sarda. Gli stessi personaggi di contorno sono molto abbozzati o eccessivamente caricaturali, come i due agenti Dino e Pino (evidente omaggio ai goffi detective Dupond e Dupont dei fumetti di Tin Tin) o l’apatico e ieratico pastore Badore.

Zucca infatti sembra attingere alla tradizione minimalista e surreale di cineasti nordici come Aki Kaurismaki o Roy Andersson, ma dagli stessi non riesce a recuperare essenzialità e intensità di forma e scrittura. Sembra, in altri termini, di trovarsi di fronte ad un film schizofrenico formato da due sottotrame, uno spy story e un road movie, non sempre ben amalgamate in modo funzionale. Anche nel film precedente era presente un intreccio duale, ma il lavoro di cucitura risultava più armonico, esaltando maggiormente sapori e umori dell’ambientazione sarda.

Nonostante queste carenze, il film offre sequenze memorabili come l’esame di “sardità” cui è sottoposto Gavino/Kevin, o come l’ingresso dello stesso nel paese incriminato del furto cosmico. In ogni caso è un’opera con elementi innovativi, soprattutto nel trovare una chiave inedita per raccontare le peculiarità della civiltà sarda, da sempre in constante connessione con la sua dimensione più arcaica e mistica.

L'uomo che comprò la luna

valutazione globale - 6

6

Uno “spy-road movie” originale e sgangherato che esalta l'orgoglio di una civiltà che non si piega alle imposizioni imperialiste.

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L’uomo che comprò la luna: giudizio in sintesi

Jacopo Cullin ne L'uomo che comprò la luna

Al secondo lungometraggio, Paolo Zucca mette sul piatto un progetto assolutamente ambizioso: raccontare la sua magica isola con filtri narrativi di genere, con un occhio a cinematografie apparentemente distanti. Il risultato, però, manca a tratti di una visione organica e coerente, non riuscendo sempre a far coincidere le vocazioni drammatica e surrealista dell’impianto narrativo. La sensazione è quella di un prodotto che talvolta divaga eccessivamente dalla via maestra segnata dall’incidente scatenante, ossia l’acquisto apparentemente illegittimo della Luna da parte un abitante sardo. Tuttavia, il film centra sufficientemente il suo obiettivo, ossia celebrare la riappropriazione del proprio retaggio culturale, baluardo che le ingerenze imperialiste non potranno mai erodere e sgretolare definitivamente.

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About Daniele Marseglia

Ricordo come se fosse oggi la prima volta che misi piede in una sala cinematografica. Era il 1993, film: Jurrasic Park. Da quel momento non ne sono più uscito. Il cinema è la mia droga.

One comment

  1. Marco Marangone

    In un’epoca di frettolosità e di gente che parla a vanvera cerco di dare il mio contributo ))) commentando il film … che non ho ho visto e che non vedrò, limitandomi alle impressioni del trailer (le quali però combaciano molto con quanto scritto da Berlinghieri).
    Un’idea di base interessante e invenzioni comiche anche brillanti che però sembrano essere state risolte sbrigativamente con l’unico scopo di strappare con facilità la risata allo spettatore.
    La cifra surreale è rischiosa e se non gestita con oculatezza provoca sconfortanti scivoloni nella categoria del “famolo strano” un po’ fine a se stesso (in cui a mio avviso ricade anche l’incensato Roy Andersson) e nella parodia.
    A mio avviso Kaurismaki, chiamato in causa, sta su un altro pianeta: disinteressato a divertire, il finlandese deve la sua grandezza alla elevata capacità di introspezione dei suoi personaggi ed alla sottile ironia che spesso sconfina nella poesia.

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