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Lazzaro Felice

Lazzaro Felice: la recensione del film di Alice Rohrwacher premiato a Cannes

Dopo il premio alla miglior sceneggiatura ricevuto al Festival di Cannes, arriva nelle sale italiane la terza fatica di Alice Rohrwacher, Lazzaro Felice.

Lazzaro Felice: la sinossi

Lazzaro FeliceIn una piantagione di tabacco del centro Italia lavorano 54 schiavi alle dipendenze della Marchesa Alfonsina De Luna che non li ripaga con niente, lasciandoli vivere in vecchie catapecchie fatiscenti senza luce né servizi essenziali. In questa comunità di persone troviamo anche un giovane ragazzo di all’incirca ventanni, Lazzaro, buono come il pane e sempre pronto ad aiutare tutti, anche quando le persone che lo circondano sembrano approfittarsi di lui. La sua vita conoscerà una svolta quando farà conoscenza di Tancredi, il giovane figlio della Marchesa De Luna.

Lazzaro Felice: le nostre impressioni

Lazzaro FeliceGiunta alla sua terza opera da regista, Alice Rohrwacher continua a portare avanti un’idea di cinema che deve molto ai lavori di Ermanno Olmi e, in parte, anche un po’ al neorealismo italiano. Lo fa raccontando delle storie che altro non sono che delle favole, così come succedeva anche nel precedente Le meraviglie. Non si può certo dire che non sia un percorso difficile e tortuoso quello da lei affrontato, e per questo motivo le va riconosciuta una forte dose di coraggio e di grande ambizione. Il problema è che quando si vuole essere così ambiziosi e puntare in alto, con una storia, invece, che è tutta vista dal basso, a cominciare dalla grande umiltà che è propria del personaggio di Lazzaro, allora c’è anche il rischio di commettere errori. E in Lazzaro Felice di errori non è affatto privo.

Se ci fermiamo a guardare la confenzione, l’abito che la Rohrwacher fa indossare alla storia che racconta, allora possiamo dire che la regista ha fatto centro, mostrando tutto il suo valore a livello tecnico. Non si può dire la stessa cosa, invece, di una sceneggiatura (scritta da lei) che presenta in più momenti delle lacune. Va bene la favola. E va bene anche la sospensione dell’incredulità (una storia del genere ai giorni d’oggi sarebbe veramente implausibile). Ma in certi punti del film si resta un po’ interdetti da alcune situazioni, finendo un po’ smarriti (in che epoca siamo? Dove siamo?).

Lazzaro FeliceIn Lazzaro Felice si ha più volte la sensazione che la Rohrwacher non riesca a far arrivare al pubblico il suo messaggio in maniera più netta e lineare. C’è bisogno, allora, di ricorrere ad uno uso fin troppo evidente della metafora che sta alla base del film, ovvero che è l’avidità dell’essere umano ad ‘uccidere’ la bontà delle persone. Le persone buone, umili e disponibili come il Lazzaro del film hanno sempre un posto riservato in un mondo dove a persistere sono ancora l’indifferenza e il pregiudizio.

Quando il film si sposta ai giorni nostri, circa vent’anni dopo la prima parte, tutto è mutato. La comunità, o quel che ne è rimasto, vive ai bordi della ferrovia e cerca di sopravvivere dedicandosi a piccoli furti. Solo Lazzaro non è cambiato, non solo nella sua magnanimità ma anche nel suo aspetto di adolescente. In questa seconda parte del film la Rohrwacher cade anche in scene abbastanza inspiegabili come quella della musica che esce dalla chiesa (sì, avete letto bene).

Lazzaro Felice

valutazione globale - 5.5

5.5

Un film di cuore e animo, ma non esente da difetti

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Lazzaro Felice: giudizio in sintesi

Lazzaro FeliceLa Rohrwacher firma la sua terza regia con più animo e coraggio che bravura (perlomeno in fase di sceneggiatura) raccontando una storia che ha tutte le caratteristiche della favola. Il film, purtroppo, non è esente da difetti e scelte a volte incomprensibili. Lazzaro Felice resta comunque un lavoro fatto col cuore, al quale è impossibile non provare una certa affezione con tutti i difetti che si porta dietro. Ma a volte, purtroppo, il cuore non basta.

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About Daniele Marseglia

Ricordo come se fosse oggi la prima volta che misi piede in una sala cinematografica. Era il 1993, film: Jurrasic Park. Da quel momento non ne sono più uscito. Il cinema è la mia droga.

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