Home / Recensioni / I figli del fiume giallo: la recensione del film di Jia Zhangke
Zhao Tao e Liao Fan ne I figli del fiume giallo

I figli del fiume giallo: la recensione del film di Jia Zhangke

I figli del fiume giallo, ultimo film del cineasta cinese Jia Zhangke, è approdato nelle sale italiane il 9 maggio. Protagonisti della pellicola, presentata in concorso al Festival di Cannes 2018, sono Zhao Tao e Liao Fan.

I figli del fiume giallo: la sinossi

Zhao Tao e Liao Fan ne I figli del fiume giallo

Qiao (Zhao Tao) ha una relazione con un malvivente locale, Bin (Laio Fan). Nel corso di un agguato teso loro da bande rivali, Qiao è costretta ad usare la pistola per difendere Bin: questo le costerà non solo il carcere, ma, probabilmente, anche la fine della relazione con Bin, che senza di lei proverà a rifarsi una vita.

I figli del fiume giallo: le nostre impressioni

Come di consueto, il mondo (filmico e non) di Jia Zhangke è complesso e stratificato, forse appetibile per il solo pubblico dei cinefili e studiosi, più che per le vaste platee. I figli del fiume giallo esonda dai confini dello schermo e abbraccia un’intera concezione del cinema, della storia e del mondo.

Zhao Tao ne I figli del fiume giallo

Non scopriamo certo oggi la vocazione antropologica del regista di Fenyang, il cui sguardo acuto e penetrante parte da una storia “di provincia” – quella di un amore tormentato – per allargarsi fino ad abbracciare riflessioni di respiro molto più ampio. Il punto di partenza è il microcosmo del jianhgu, concetto quasi intraducibile che fa riferimento ad un mondo provinciale, sommerso e lontano (non solo e non tanto geograficamente) da quello politico-istituzionale, sede della grande Storia. Jianghu è sinonimo di una fitta maglia di alleanze talvolta criminali, che non per questo offuscano codici d’onore improntati sul rispetto, il mutuo assistenzialismo ed il familismo. È in queste periferie che Jia Zhangke colloca l’inizio della vicenda di Qiao e Bin, costretti poi nell’arco di poco più di un quindicennio – tale è il tempo diegetico – a spostarsi, e ad affrontare cambiamenti radicali al pari del paese nel quale vivono.

Col passare dei minuti appare chiaro che la storia di Qiao e Bin è solo l’espediente narrativo de I figli del fiume giallo, e che la compenetrazione, l’osmosi tra le storie (quella dei protagonisti e quella del paese; quella personale di Qiao e quella della comunità familiare di provenienza; quella delle periferie irregolari e delle moderne città dalle piante rigidamente definite) è la chiave di volta dell’intera opera. Attraverso la vicenda amorosa, Jia Zhangke parla con toni pacati eppure pieni di pathos di un mondo lontano, più che antico. La logica orizzontale è più congrua di quella ascensionale o verticale – o, in altri termini, irrimediabilmente progressista. Il mondo in procinto di disgregarsi non appare ancora estinto per via di un’inevitabile secolarizzazione: c’è molto altro. Certo, gli uomini si affrancano da remoti (sempre in senso spaziale) sentimenti di fratellanza, mutualismo e correttezza; ma alla periferia dell’impero, è possibile trovare ancora germi di jianhgu. E poco più in là delle rotaie che attraversano la Cina, c’è perfino del surreale, proprio nel mezzo del nulla.

Zhao Tao ne I figli del fiume giallo

La macchina da presa registra con tono lievemente pessimistico, ironico ma obiettivo la ridefinizione di rapporti sociali e l’allontanamento, prima geografico e di conseguenza emotivo/intimo. Lo sguardo innamorato di Qiao, non a caso, è il punto focale che il regista sceglie di destinare al pubblico. La donna, che pare in bilico sul crinale di un mondo a metà tra ciò che è stato e ciò che non è ancora, finisce da un lato schiacciata dalla brutale evidenza di un sentimento erroneamente ritenuto eterno; dall’altro, cionondimeno, ella continua a sostenere fermamente il peso di una morale non del tutto perduta, di una fermezza non ancora sgretolata, di un mutualismo non ancora corrotto. La sua storia (quella della stessa Cina? Di una parte di essa?) è l’emblema della transizione e forse dello smarrimento. Ma, almeno in parte è anche una storia di speranza e resistenza: quella di un animo che, tenacemente, non abdica ai suoi imperativi. Un animo che pur costretto su vie impervie – emblematici i sotterfugi ai quali la protagonista ricorre, pur di affermare la (sua) verità – non si scoraggia; e che, pur incalzato da trasformazioni imponenti ed imminenti – magistrale, in tal senso, l’uso del sonoro extra-diegetico – non si eclissa. La condotta di Qiao denuncia l’allentamento di certi vincoli, ma se anche lei e Bin paiono quasi condannati al ritorno e ad un nuovo inizio, è pur vero che la forza centrifuga continua a far sentire i propri effetti. Ci sembra quindi di poter dire che, più che un film sulla “secolarizzazione” compiuta, quella di Jia Zhangke sia una parabola sulla resistenza emotiva e sentimentale, sociale ed antropologica.

Zhao Tao ne I figli del fiume giallo

La narrazione de I figli del fiume giallo scorre con ritmi dilatati, dialoghi rarefatti ed elargiti con estrema parsimonia. A dominare la scena, una fotografia che alterna formati e risoluzioni in corrispondenza delle epoche storiche di riferimento e che – specie con il cromatismo esagerato agli inizi – rende omaggio al cinema di Hong Kong. Sorretto da una sceneggiatura essenziale ed estremamente densa, le immagini regalano vere e proprie gemme nel corso della storia. L’utilizzo di certi dettagli e particolari (si noti, in particolare, l’intero simbolismo delle mani, del contatto) basterebbe, da solo, a racchiudere il film in tre o quattro scene. Discorso analogo per una macchina da presa utilizzata in maniera ineccepibile, come testimonia un piano-sequenza complessissimo di diversi minuti. La forza evocativa di tutto ciò, ci sentiamo di dire, è in odor di perfezione, e il richiamo ai più grandi della settima arte non ci sembra poi tanto azzardato.

La recitazione di Zhao Tao e Liao Fan, composta e trattenuta come da migliore tradizione orientale, lascia pochissimo spazio all’immedesimazione totale. E, sicuramente, è in grado di scoraggiare i più.

I figli del fiume giallo

valutazione globale - 7.5

7.5

Una storia di transizione e secolarizzazione nella Cina contemporanea

User Rating: 3.9 ( 1 votes)

I figli del fiume giallo: giudizio in sintesi

Zhao Tao ne I figli del fiume giallo

I figli del fiume giallo è un film complesso ed altamente stratificato, forse appetibile al solo pubblico dei cinefili. Jia Zhangke conferma la propria vocazione antropologica, e parte da una storia d’amore di provincia per allargare poi il campo ed inglobare altre vaste riflessioni. Su tutte, quelle relative al cambiamento al quale la Cina sta andando incontro a livello sociale ed economico, con le storie dei personaggi ed i rapporti umani che inevitabilmente ne risultano influenzate. La compenetrazione tra la Storia, i luoghi ed i personaggi – ciascuno con le proprie traiettorie personali – scatena un circolo osmotico in cui ogni evento ha ripercussioni profonde e ben riconoscibili, esplicitati da una fotografia densa di illuminanti dettagli e particolari. I luoghi de I figli del fiume giallo non sono soltanto le location del film, ma sono disposizioni dell’anima, forieri di una visione del mondo. Che, nella tenace protagonista della vicenda, trova una resistenza ed una fermezza d’animo prettamente rosa, ma non per questo tenue.

Per ogni notizia e aggiornamento sul mondo dello spettacolo, cinema, tv e libri, vi consigliamo di seguire la nostra pagina FacebookV

About Vito Piazza

Tutto inizia con Jurassic Park, e il sogno di un bambino di voler "fare i film", senza sapere nemmeno cosa significasse. Col tempo la passione diventa patologica, colpa prevalentemente di Kubrick, Lynch, Haneke, Von Trier e decine di altri. E con la consapevolezza incrollabile che, come diceva il maestro: "Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato".

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *