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Dark crimes

Dark Crimes – La recensione del nuovo film di Alexandros Avranas con Jim Carrey

Dark Crimes, di Alexandros Avranas, è un film realizzato nel 2016 disponibile nelle sale dal 6 settembre. Il film è interpretato da Jim Carrey, Charlotte Gainsbourg e Marton Csokas.

Dark crimes: la sinossi

Dark crimesPoliziotto onesto e taciturno, Tadek (Jim Carrey) è un uomo prossimo alla pensione ma ancora ossessionato da un omicidio irrisolto. Le sue attenzioni si concentrano su The Cage, un locale a luci rosse teatro di pratiche sessuali estremamente spinte, violente e perverse. La vittima ne era infatti un assiduo frequentatore, e Tadek scorge nel libro del noto scrittore Kozlow (Marton Csokas), anch’egli cliente, dei dettagli identici all’omicidio commesso anni prima. Caso o indizio? L’indagine, che metterà in crisi la vita di Tadek e la reputazione di Kozlow, coinvolgerà anche la misteriosa Kasia (Charlotte Gainsbourg), custode di terribili segreti.

Dark crimes: le nostre impressioni

Ispirato a un reale caso di cronaca risalente ai primi anni 2000, Dark Crimes è confezionato all’interno di un invitante doppio involucro: da un lato il gelo della Polonia, paese nel quale è ambientata la vicenda, un gelo che relega – fissandoli – i personaggi unicamente in interni, gli unici luoghi deputati allo sviluppo della trama; dall’altro, appunto, gli interni (degli edifici così come dei protagonisti), nuclei incandescenti e vibranti, teatri silenziosi delle più basse abiezioni umane, dei segreti inconfessabili, delle paure, delle violenze.

Dark crimesAvranas sfrutta questa cornice per condurre lo spettatore al cuore di un’opera costruita secondo i classici e reiterati stilemi del noir: l’ossessione, la ricerca della verità, un mistero che va sempre più infittendosi. Punti cardine, questi, che purtroppo la pellicola di Avranas non sviluppa secondo un climax avvolgente. Il fascino delle immagini iniziali e dell’incredibile intuizione di Tadek cede quasi subito il passo ad un certo disagio, scaturente da una storia che troppo presto cade in palese stallo. La storia si inceppa o brancola nel buio, e reitera troppo spesso situazioni e dialoghi che non solo non fanno progredire la narrazione in maniera fluida, ma non aggiungono alcun dettaglio significativo ai personaggi.

In soccorso di una sceneggiatura che incespica vistosamente accorrono le prove dei tre protagonisti principali, impreziosite da un uso coerente e convincente dei piani e delle inquadrature. Non crediamo di esagerare rintracciando un’ascendenza griffithiana nei primi e primissimi piani di Avranas: è sempre la prima inquadratura che rivela il tipo umano; il primo sguardo, un movimento, un particolare, tutti elementi anticipatori del personaggio, tracciato con immediatezza e chiarezza. Ma anche in questo caso, smaltite le sequenze iniziali, i personaggi restano inchiodati alla prima impressione e non progrediscono in modo significativo. A colpire è soprattutto la prova di Jim Carrey, che dimostra tutta la propria versatilità ed un talento indubbio ogni qual volta venga coinvolto in storie lontane dalla maschera che l’attore si è – suo e, soprattutto, nostro malgrado – cucito addosso. Dietro la folta barba intuiamo il lavoro di un ottimo attore, ben diretto e in grado di mostrare tutta l’inquietudine, l’ossessione e persino l’impotenza di un personaggio attonito, a sua insaputa pedina di un gioco che non conduce ma nel quale è invece condotto. Superba, sebbene letteralmente immobile, anche la prova di Csokas, algido e affascinantissimo “cattivo”. Più che convincente, infine, l’interpretazione della Gainsbourg, nei panni di una dark lady sì classica, ma alla quale l’attrice conferisce il suo solito tocco a metà tra struggimento e perfidia.

Dark crimesDi Dark Crimes, in definitiva, ciò che rapisce l’occhio è la fotografia, accurata e ben studiata. Il grigiore, il freddo gelido della Polonia sono resi con colori sbiaditissimi, quasi inesistenti, con una saturazione ridotta ai minimi termini ma mai intellettuale. Certe sequenze – come quelle degli interrogatori o di certi dialoghi – pur nell’essenzialità di un primo piano su sfondo nero, sono capaci di catturare l’attenzione dello spettatore, intento a decifrare i minimi corrucciamenti degli interpreti. Inoltre, la pellicola ha il pregio di mostrare il lato “sporco” della realtà profilmica: automobili che non scintillano, abitazioni con interni non troppo rifiniti e persino piazze e strade malconce.

Pur con tutte le sue imperfezioni, Dark Crimes conferma le doti di Avranas, che tuttavia stavolta si mostra un narratore meno abile rispetto al suo precedente Miss Violence (2014). Il gioco dei ruoli e dei personaggi, compresi i colpi di scena troppo prevedibili ed una storia che non decolla, non sollevano mai in maniera considerevole il livello della pellicola, che si mantiene quasi sempre allo stato epidermico.

Dark Crimes

valutazione globale - 5.5

5.5

Mezzo passo falso per un regista capace

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Dark crimes: giudizio in sintesi

Dark crimesL’ultima opera di Alexandros Avranas, Dark Crimes, prende spunto da fatti di cronaca realmente accaduti ma, purtroppo, si rivela un mezzo passo falso. Il regista greco si concentra su un noir contemporaneo, rispettando tutti gli stilemi formali del genere. Tuttavia la storia risulta spesso monocorde, priva di colpi di scena significativi e troppo spesso ostaggio di dialoghi, scene e situazioni identiche a sé stesse. Con una sceneggiatura blanda, è la prova dei tre attori protagonisti a tentare una complicata operazione di soccorso, ma nonostante qualche lampo di Jim Carrey, Marton Csokas e Charlotte Gainsbourg, il film continua a trascinarsi stancamente verso la fine. La fotografia, nonostante tutto, ha più di un pregio. Lontana dall’ostentata perfezione, mostra un suggestivo grigiore che da solo non basta ad esaltare un film che, indubbiamente, avrebbe potuto essere sviluppato in maniera più esaustiva. E che, non a caso, è stato distribuito in sala ben due anni dopo la sua realizzazione.

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About Vito Piazza

Tutto inizia con Jurassic Park, e il sogno di un bambino di voler "fare i film", senza sapere nemmeno cosa significasse. Col tempo la passione diventa patologica, colpa prevalentemente di Kubrick, Lynch, Haneke, Von Trier e decine di altri. E con la consapevolezza incrollabile che, come diceva il maestro: "Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato".

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