Chi scriverà la nostra storia è un documentario sull’Olocausto uscito nelle sale il 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria. Narrato dalle voci di Adrien Brody e Joan Allen, il documentario è stato diretto da Roberta Grossman.
Chi scriverà la nostra storia: sinossi
Nel novembre del 1940 Varsavia si appresta a vivere una delle pagine più dolorose della storia dell’umanità: quasi cinquecentomila ebrei vengono rinchiusi nel ghetto e sono sottoposti a terribili vessazioni. Lo storico Emanuel Ringelblum, rinchiuso nel ghetto, riunisce un gruppo segreto, lo Oyneg Shabes, che raccoglie clandestinamente i manoscritti delle vittime della persecuzione polacca. Dalla reclusione alle vessazioni, passando per la rivolta del 1943 fino ai loro ultimi istanti di vita. Tutto viene registrato, nei minimi dettagli.
Chi scriverà la nostra storia: le nostre impressioni
Con Chi scriverà la nostra storia Roberta Grossman, documentarista di lungo corso, adatta l’omonimo libro dello storico Samuel Kassov e si concentra sulla storia del ghetto di Varsavia, emblema e paradigma della persecuzione ebraica in Europa. La scelta narrativa della Grossman, fedele al genere, si attiene ai canoni consueti del documentario, e alle foto e alle letture delle pagine vergate dai sopravvissuti alterna qualche momento di vera e propria recitazione, con gli attori chiamati ad interpretare i reali protagonisti della vicenda.
A colpire, assai più che la componente registica, è la prospettiva – in parte inedita – fornita da Chi scriverà la nostra storia. Che, infatti, si affranca parzialmente dalla memorialistica e si configura più come diaristica collettiva, firmata da coloro i quali vissero e perirono all’interno del ghetto. Il punto di vista assunto (indirettamente) dalla Grossman concretizza l’orrore nazista in maniera ancor più concreta e, se possibile, precisa. Le testimonianze non rievocano un lontano passato, ma lasciano trasparire la contemporaneità, la prossimità, la realtà di un massacro in fieri.
Le parole che lo spettatore è costretto a sentire sono brutali, nette, taglienti eppure terribilmente semplici. Banali, avrebbe detto Anna Harendt. E allora si sente parlare della fame, di quella che costringe un uomo a conteggiare le ore che lo separano dall’unico pasto della giornata e che lo obbliga ad escogitare una strategia per ingannare un’attesa infinita, insostenibile. O capita di sentir parlare di un banale incidente quotidiano all’interno del ghetto di Varsavia, cioè inciampare sui cadaveri, o doverli coprire pur di non vederli decomporsi. E capita anche di sentire di giovani ebrei costretti a stuprare le loro correligionarie sotto gli occhi – ed i fucili – di nazisti divertiti. Ogni parola è corroborata da filmati d’epoca per cuori forti. Esseri umani ridotti letteralmente all’osso, corpi che giacciono in ogni dove, cadaveri che cadono giù dalle barelle (colme) e maldestramente raccolti da ebrei denutriti, mense che si svuotano progressivamente, fosse comuni in cui pezzi di carne vengono ammassati senza alcun riguardo. Senza neppure sapere nomi, età, provenienza.
Eppure, all’interno di una storia tanto miserabile, ci fu qualcosa in grado di sopravvivere al ghetto ed alla morte, e che Chi scriverà la nostra storia coglie con sguardo commosso. Il documentario, infatti, è almeno in parte la narrazione di una vittoria e di un riscatto, quello di un gruppo di ebrei comuni che, per il semplice fatto di scrivere, consegnò la propria terribile storia all’immortalità. Rabbini, storici, personale amministrativo, giornalisti, tutti sotto la guida di Emanuel Ringelblum, che da storico ben conscio del proprio ruolo, affidò ogni cosa al gesto ancestrale ed immortale del genere umano: la scrittura. Annotare i particolari, anche i più sgradevoli; raccontare quella quotidianità fatta di orribili vessazioni; raccogliere foto, documenti; non si trattava di vera e propria storiografia. Fu, forse, l’unico argine possibile da contrapporre all’annullamento. Alla cenere, nella quale molti di quei coraggiosissimi uomini dell’ Oyneg Shabes comunque si trasformarono nel giro di pochi mesi.
La vicenda di Chi scriverà la nostra storia, narrata con tono piano e quasi monocorde, rimane comunque di un’intensità non indifferente. Ingiudicabili, in quanto esigui, i momenti recitati, che occupano un posto del tutto marginale. Ampiamente prevedibile, quindi, che la Grossman ricorresse ad una fotografia dominata da tonalità cupe e grigie. Ma, come detto, si tratta appunto di mere appendici rispetto ad immagini documentarie di una crudezza talvolta disarmante.
L'orrore nazista e la toccante glorificazione della scritturaChi scriverà la nostra storia
valutazione globale - 6.5
6.5
Chi scriverà la nostra storia: giudizio in sintesi
Con Chi scriverà la nostra storia Roberta Grossman adatta l’omonimo libro dello storico Samuel Kassov e narra la storia del ghetto di Varsavia. Le fonti sono costituite dal famoso “archivio Ringelblum”, ritrovato a guerra ormai finita sotto le macerie di una Varsavia distrutta dalla guerra. Il film assume quindi i toni di un enorme diario collettivo, in cui la vita (e gli orrori) del ghetto assumono una pregnanza, una precisione ed una crudeltà ancora maggiore, data dalla testimonianza di persone costrette a misurarsi con una strage in fieri. Ma oltre i tantissimi orrori che lo spettatore apprende dalle righe dei diari, e al di là di terribili filmati d’epoca, il documentario della Grossman è anche un’ode al gesto ancestrale dell’uomo: la scrittura, autentica protagonista della vicenda. Mai, come in questo caso, foriera di testimonianze ed immortalità.
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