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Brain on fire

Brain on Fire: la recensione del film Netflix con Chloë Grace Moretz

Venerdì 22 giugno è arrivato sulla piattaforma Netflix il film Brain on Fire, il nuovo dramma autobiografico diretto da Gerard Barrett, basato sulla storia vera di Susannah Cahalan, una giovane ragazza che viene improvvisamente colta da una terribile malattia, a cui verrà dato un nome dopo molte indagini. Il film, seppur meritevole per il suo obiettivo, ovvero quello di sensibilizzare il pubblico su una malattia pressoché sconosciuta e difficilmente diagnosticabile e di lanciare un messaggio di speranza, non brilla per recitazione (nel complesso) tanto quanto per la narrazione, che si perde nei meandri di svariati generi.

Brain on Fire: la sinossi

Brain on fireLa giovane giornalista/apprendista per il New York Post Susannah Cahalan, interpretata da Chloë Grace Moretz, sembra avere tutto: una carriera promettente, appoggiata dal capo redazione Richard (Tyler Perry), un ragazzo, Stephen (Thomas Mann), e dei genitori, Rhona (Carrie-Ann Moss) e Tom (Richard Armitage), che, seppur divorziati, sono molto coinvolti nella vita della figlia. Alcuni giorni prima di un’importante intervista ad un senatore coinvolto in uno scandalo sessuale, Susannah viene colta da disturbi della personalità e del comportamento, uniti a forti allucinazioni e irascibilità, influendo in maniera significativa sulla vita privata e sul lavoro. A questo punto, la sua famiglia e Stephen fanno di tutto per aiutarla e sostenerla, in particolare durante un lungo ricovero volto alla scoperta della verità: Susannah è affetta da una malattia sconosciuta e grave, o sta “solo” impazzendo?

Brain on Fire: le nostre impressioni

Brain on fireL’impressione che si ha di primo acchito guardando Brain on Fire è quella di trovarsi dinanzi ad una puntata da un’ora e mezzo di alcuni format ormai in voga tra il pubblico, ovvero quello del medical drama/indagine medica su malattie misteriose e inspiegabili (il primo paragone che salta in mente è, per l’appunto, quello con Malattie Misteriose). Per quanto Brain on Fire sia ovviamente impostato su una base diversa rispetto ai programmi sopracitati, ha come genere di riferimento il docu-film autobiografico, che non sfrutta però il citazionismo giusto, basti pensare al materiale a cui poteva attingere anche solo da una serie nota e amata dal pubblico internazionale come Dr. House, dal quale avrebbe potuto cogliere spunto sia per la qualità della descrizione prettamente medica, sia per quel giusto tono di ironia, che forse avrebbero alleggerito la visione.

Brain on Fire è un film che, purtroppo, si focalizza su alcuni dettagli e sulla protagonista, tralasciando tuttavia il contesto e i personaggi intorno alla figura di Susannah. In questo senso, punto focale è l’interpretazione dell’attrice, Chloë Grace Moretz, che è stata in grado di rendere in maniera veritiera e brutale la condizione in cui riversava la vera Susannah, calandosi nella recitazione di scatti d’ira, stati allucinatori, catatonia, senza mai risultare poco credibile. Ciò che ha reso, tuttavia, la narrazione della travagliata strada verso la guarigione della protagonista pesante, poco scorrevole e lenta è stata la scelta del regista Barrett di inserire questi “attacchi” a intervalli sempre più brevi, sicuramente a dimostrazione dell’acuirsi dello stato della malattia di Susannah, calcando, forse, un po’ troppo la mano. Insomma, ci troviamo davanti al caso in cui l’eccesso di veridicità, di zelo nel riportare la realtà (se così è stata davvero) ha inficiato la dote d’intrattenimento del prodotto finale, rendendo Brain on Fire un prodotto mediocre a in questo senso. Inoltre, questa decisione a livello narrativo ha penalizzato, come accennato in precedenza, gli altri protagonisti, che sembrano, letteralmente, di contorno.

Brain on fireLa risoluzione del bandolo della matassa, ovvero la diagnosi da parte del dottor Najjar, arriva bruscamente, in modo frettoloso, dando l’idea che si volesse chiudere Brain on Fire in fretta e furia. Anche in questo caso, le pecche abbondano: spinto al doppio della velocità rispetto alla parte precedente del film, lo spettatore assiste ad una serie di cliché visti e rivisti nei medical drama, come l’incalzante ricerca di una diagnosi, medici raccolti intorno a radiografie ed esami, la famiglia sempre più accondiscendente e di sostegno, il rapporto di fiducia e amicizia che si instaura fra malato e dottore. A rendere ancor più frustrante questo finale, è la poca cura che viene utilizzata nella narrazione al racconto del recupero di Susannah, che ha davvero dovuto imparare di nuovo a fare tutto, camminare, parlare, scrivere. A uso del pubblico, come una sorta di “contentino” finale, i titoli di coda di Brain on Fire forniscono quelle informazioni sulla malattia autoimmune di Susannah, di cui ci eravamo quasi scordati, con tanto di sviluppi successivi nella sua vita e foto da “reportage”, le vere foto dei protagonisti della vicenda.

Brain on Fire

Valutazione globale - 4.5

4.5

una nobiltà d'intenti disillusa

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Brain on Fire: un giudizio in sintesi

Brain on fireBrain on Fire è un prodotto che si guarda difficilmente tanto quanto lo si dimentica rapidamente, mancando di spessore, o meglio, che viene dato solo ad alcuni dettagli tralasciandone molti, come ad esempio i personaggi che non sono Susannah. Una nota positiva va fatta nei confronti dell’attrice Chloë Grace Moretz, che si sta confermando sempre più quell’attrice poliedrica che pareva potesse diventare sin dalle prime interpretazioni, mostrando inoltre una maturità in fase di formazione ma già ben avviata nonostante la giovane età. Perdendosi nei meandri di vari generi, dal medical drama al film psicologico/autobiografico, Brain on Fire perde il nocciolo della questione, il suo obiettivo, la cui grande componente è senz’altro la sensibilizzazione su una rara malattia autoimmune, con annesso messaggio di speranza, sottraendogli forza di propulsione e quella nobiltà d’intenti con cui si presenta.

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About Ilaria Coppini

25, ormai laureata in Letterature e Filologie Euroamericane, titolo conseguito solo per guardare film e serie TV in lingua originale (sulle battute ci sto ancora lavorando). Almeno un'ora al giorno per vedere un episodio la trovo sempre, e Netflix è ormai il mio migliore amico. Datemi del cibo e una connessione veloce e scatenerete la binge-watcher che è in me.

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