Autore: Philippe Petit
Titoto: Trattato di funambolismo.
Edizione italiana: Ponte alle Grazie
pagine: 128 – prezzo: 12.50€
L’essenziale è nel semplice. E’ per questo che il lungo cammino verso la perfezione è orizzontale.
Vi ricordate Philippe Petit, il protagonista del film di Robert Zemeckis, The Walk? Il film è stato tratto dal libro To Reach the Clouds, scritto da un coraggioso uomo che ha segnato la storia del funambolismo. Tuttavia non è il suo unico libro.
Trattato di funambolismo, a detta dell’autore, rappresenta infatti la sua prima vera opera e “dimora nel [suo] cuore come il più importante”. Pubblicato per la prima volta in Francia nel 1985 per Actes Sud, questo libro, come lui stesso ricorda, “è stato scritto da un giovane uomo che aveva appena imparato in qualche mese, senza un maestro, un’arte che non esisteva”.
Philippe Petit e le sue più grandi traversate
Agli occhi di chi, come me, non sapeva nulla di Philippe Petit prima di vedere The Walk le sue imprese, le sue camminate nel vuoto rappresentano delle vere e proprie imprese, incredibili per quelli appartenenti alla “razza di chi rimane a terra”, per citare Montale.
Petit ha cominciato fin da piccolo ad appassionarsi alla magia e al circo, con una predilezione per i funamboli. Nel corso della sua esperienza da semi autodidatta ha preso molto sul serio e con radicale dedizione questa sua passione, tanto da crearne una filosofia di vita, senza la quale non avrebbe potuto procedere sereno lungo il suo “filo” sospeso a centinaia di metri di altezza.
Citiamo alcune delle sue grandi “camminate”: in primis tra le torri di Notre Dame, tra i piloni dell’Harbour Bridge a Sydney (il più lungo ponte d’acciaio nel mondo), tra le torri del World Trade Center, le grandi cascate del Paterson, tra le guglie della cattedrale di Laon, il Superdome a New Orleans e tante altre intorno al mondo.
Trattato di funambolismo: un libro scritto con la mente e con il cuore
La prima parte di questo breve e curioso libro è dedicata a tutti coloro che si vogliono cimentare con l’arte del funambolismo, con tutti i consigli tecnici del caso: scelta e manutenzione del “filo”, esercizi preparatori, come fissare il cavo, bilancere e così via. Con la sua tecnicità specifica dunque rischia di non essere tanto coinvolgente come la seconda metà, in cui Philippe Petit si lascia completamente andare, cuore in mano e sole in fronte.
Il libro si trasforma agevolmente in un flusso di coscienza scandito da capitoli brevi e intensi in cui Petit condensa il racconto delle sue sensazioni, descrivendo ciò che secondo lui è essenziale nell’approccio all’arte del funambolismo. Colpisce senz’altro il rigore e la fermezza con cui riporta i suoi pensieri, talvolta più simili ad aforismi, a volte brutali, ma molto puntuali e soprattutto reali.
Il terreno del funambolo è limitato dalla morte. Non dai suoi accessori. Quando un funambolo ispira pietà, merita dieci volte la morte.
Si tratta senza dubbio di un libro estremamente serio, in cui nulla viene dato per scontato: il “filo” va affrontato con sicurezza e coraggio, con eleganza ed equilibrio, con una nobiltà che non sfoci in arroganza o eccesso di zelo. Trovo interessante che tra le righe si possano cogliere delle massime di cui possono far tesoro anche i non aspiranti funamboli, come nel ricordare insistentemente di dedicare, nell’allenamento così come nello spettacolo, importanza ad ogni minimo gesto, di essere severi con se stessi, con la propria prestazione fisica e mentale.
“Un libro sulla solitudine e sulla paura”
Inevitabile è il confronto con il sentimento atavico che ci spingerebbe a fuggire da un pericolo del genere, a non rischiare la propria vita ad un passo dal vuoto. Trovo che a tal proposito Petit abbia scritto delle parole molto profonde e coraggiose, che ognuno dovrebbe tener strette a sé nel momento di affrontare le sfide che la vita impone a ognuno di noi.
I limiti, le trappole, le impossibilità mi sono indispensabili, cerco il confronto con loro ogni giorno. Trovo necessaria la frusta a condizione che sia l’allievo ad utilizzarla, non il maestro.
Eppure sul filo si combatte da soli, soli con i propri pensieri e le proprie emozioni. Di conseguenza, la solitudine viene vista come un valore fondamentale per la concentrazione, così come per la soddisfazione personale. Non è una condizione esistenziale disforica, ma al contrario: ne vengono evidenziati i vantaggi e la necessità
Ho trovato molto toccante la descrizione del “riposo del funambolo”, sdraiato tra il vuoto e il cielo, il momento di maggiore fusione tra il funambolo e il suo filo, ciò che Petit stesso ha fatto a metà della traversata del World Trade Center. Nel consiglio la lettura, così come dell’intero libro, breve ma molto profondo e piacevole.
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