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J'accuse a Venezia 76

Venezia 76: J’accuse di Roman Polanski ripercorre l’Affaire Dreyfus

Il terzo giorno di Mostra del cinema si è dimostrato essere un po’ all’insegna delle vittime dei meccanismi governativi sotterranei: da un lato la personale ricostruzione dell’Affaire Dreyfus da parte di Roman Polanski con J’accuse, dall’altro il racconto della vita dell’attrice di À bout de souffle Jean Seberg.

J’accuse: sinossi

Francia, 1894. Alfred Dreyfus (Louis Garrel) viene degradato davanti a tutta la scuola militare di Parigi e deportato sull’Isola del Diavolo, dove viene costretto ai lavori forzati. L’accusa è quella di aver consegnato alla Germania informazioni sull’esercito francese e sulle sue strategie, all’indomani di un momento in cui le due nazioni si erano trovate in aspro conflitto fra loro (la guerra franco-prussiana). Nel 1896 però, l’ufficiale George Piquard (Jean Dujardin), che era stato messo a lavorare per i servizi segreti francesi, scopre che Dreyfus è innocente e insiste affinché il caso venga riaperto poiché sembra che il colpevole e autore del famoso “bordereau”, la lettera contenente informazioni segrete e usata come unica prova indiscutibile contro Dreyfus, è invece un certo Estherazy. I suoi superiori però gli intimano di non riaprire più il caso e cercano di ostacolarlo in tutti i modi. Piquard, animato da un forte senso di giustizia condurrà la sua lotta giudiziaria che lo porterà anche ad un’incarcerazione per molti mesi. Tuttavia, una svolta nel lungo e duro processo giudiziario, nonché il famoso articolo di Émile Zola J’accuse!, permetterà di far tornare Dreyfus in Francia, dove verrà comunque giudicato colpevole, ma dove, dopo dieci anni di lotte e resistenza, otterrà ufficialmente la grazia.

J’accuse: le nostre impressioni

J'accuse a Venezia 76

Era facilmente immaginabile l’intreccio e specialmente l’incipit di J’accuse di Roman Polanski. Un campo lunghissimo riprende dei soldati che avanzano, in una piazza sgombera, circondata dai reggimenti dell’esercito francese e dal popolo che assiste alla scena. Si tratta della degradazione pubblica e ufficiale cui fu sottoposto Dreyfus, famosa anche per le illustrazioni che ne sono state realizzate. Non solo egli viene privato dei suoi gradi, che letteralmente gli vengono strappati di dosso, ma subisce un profondo affronto pubblico, perdendo l’orgoglio, la dignità di membro dell’esercito e dell’umanità in generale. Soldati e cittadini, tutti urlano impropri su Dreyfus, che invano cerca di dirsi innocente e che viene irrimediabilmente sovrastato dalle urla della folla. Come non pensare al valore che tale sequenza può avere se realizzata da un regista controverso e aspramente criticato come Polanski?

La scelta del soggetto è più attuale di quanto dovrebbe essere e lo capiamo ancor più da una delle prime battute di Piquard-Dujardin che, a commento di tale scena, rievoca il fatto che i romani condannavano in piazza i cristiani, mentre i francesi condannano gli ebrei: “questo sì che è progresso”. Ad essere rievocata tra le sequenze di J’accuse non è solo la vicenda delle accuse giudiziarie che gravano sulla figura di Polanski ormai da anni, ma anche quella legata al forte antisemitismo che all’epoca cominciava a dilagare e che tutt’ora sta ritornando a far sentire la sua oscura presenza. Si tratta di una tematica che si lega in modo ancor più profondo e personale alla vita di Polanski. La sua famiglia infatti era stata internata nel ghetto di Cracovia in seguito all’invasione nazista della Polonia e sua madre non era sopravvissuta ai campi di sterminio, a differenza del padre, che riuscì a sopravvivere al campo di concentramento di Mathausen. Roman era riuscito a fuggire grazie all’aiuto del padre, che aveva organizzato il suo affidamento presso una famiglia cattolica.

J'accuse a Venezia 76

Eppure, per quanto si tratti di una vicenda radicalmente vicina alla sua sensibilità e alla sua biografia, Polanski ha assemblato un film rigoroso, serio e preciso, una ricostruzione elegante e disincantata di una storia che è divenuta simbolo di un radicale e spaventoso cambiamento sociale, i cui effetti disastrosi si sono manifestati nel corso della prima metà del ‘900. Ad eccezione di momenti particolarmente intensi in cui interviene la bella colonna sonora composta niente meno che da Alexandre Desplat, il film è ammantato da una grigia, solenne compostezza e precisione, che si manifesta nella dettagliata e curatissima ricostruzione sia estetica sia storica. Polanski non si lascia andare ad uno stile eccentrico come è in grado di fare, per quanto il tocco del suo genio sia visibile a più riprese, ma non per questo il risultato è meno soddisfacente. Attentissimo all’esattezza dei fatti e del contesto storico, il regista di origini polacche ci riporta sui banchi di scuola, ripercorrendo con delle atmosfere che in parte ricordano anche i film di spionaggio i dettagli di una storia complessa e che molto ha ancora da dire sul delicatissimo conflitto tra giustizia e ingiustizia. Una storia terribilmente importante in grado di far profondamente riflettere sui corsi e i ricorsi storici.

J'accuse!

valutazione globale - 6.5

6.5

Una rigorosa ricostruzione di una storia sempre attuale

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J’accuse: curiosità e dichiarazioni

Il regista Roman Polanski non ha potuto partecipare alla conferenza stampa per impedimenti di tipo politico e giudiziario, ma la presenza del cast non ha impedito che la discussione sul film fosse interessante e ricca di spunti. Erano presenti però Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Alexandre Desplat e i produttori francesi ed italiani.

Louis Garrel, lanciatosi in uno sfoggio della sua conoscenza della lingua italiana, ha raccontato di aver avuto l’occasione, grazie a Polanski, di incontrare la (pro-pro…) nipote di Dreyfus sul set, la quale gli ha raccontato che anche le generazioni successive della sua famiglia hanno subito ingiustizie correlate alla deportazione degli ebrei durante il regime nazista. Insomma, una storia di ingiustizia infernale e senza fine…

Jean Dujardin ha raccontato quanto sia stato soddisfacente ed al contempo impegnativo lavorare con un regista meticoloso e attento come Polanski, in grado di far girare la stessa scena un numero sconsiderato di volte ma anche in grado di incoraggiare gli attori nel momento giusto. Ha ammesso che qualche anno fa probabilmente non sarebbe stato pronto ad affrontare un ruolo importante del genere con un simile maestro del cinema, un ruolo che è divenuto infine una vera e propria sfida con se stesso. Tutti gli attori presenti hanno ammesso di essersi approcciati alla sceneggiatura con le conoscenze storiche sull’argomento acquisite negli anni di scuola, che hanno potuto esplorare nel dettaglio nello svolgimento delle riprese, specialmente grazie alle numerose indicazioni di Polanski.

I produttori italiani e francesi hanno ammesso che il film ha avuto una lunghissima gestazione in quanto si sono trovati a misurarsi con numerose difficoltà di vario genere. Una di queste è sicuramente stata quella di convertire al francese un film ideato e scritto in inglese. Entrambi i produttori si sono resi conto, a distanza di una decina di anni circa, che il modo migliore per dare un respiro internazionale, paradossalmente, era proprio il ritorno alla lingua francese. Il produttore francese ha aggiunto che il film illustra una situazione tragica, drammatica, ingiusta, in cui però la differenza viene fatta da una persona dissidente, che riesce a raggruppare intorno a sé una minoranza di persone con le stesse posizioni ideologiche e opinioni in materia. Il film, dunque, può essere visto come una ricostruzione di fatti drammatici e terribili in grado di schiacciare crudelmente un individuo, ma anche come un’apologia della resistenza individuale, dell’idea che la speranza può nascere da un’individualità dissidente, animata da un forte senso di giustizia.

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