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Ad Astra a Venezia 76

Venezia 76 affronta di nuovo lo spazio con Ad Astra di James Gray

Il secondo giorno della mostra del cinema si anima con l’arrivo di film molto attesi e con grandissime star hollywoodiane. Tra questi, Ad Astra è il nuovo film di James Gray (The Lost City of Z), interpretato da Brad Pitt, Ruth Negga e Tommy Lee Jones.

Ad Astra: sinossi

Roy (Brad Pitt) è un austronauta statunitense che viene scelto per portare a termine una missione top secret che coinvolge la figura del padre scomparso da anni. In seguito ad una tempesta magnetica che sta causando grossi problemi e centinaia di morti sulla Terra arrivata improvvisamente da Nettuno, dove era stato mandato il padre molti anni prima in un programma spaziale per la ricerca di forme di vita aliena, Roy dovrà andare sulla base spaziale di Marte, per tentare di comunicare con il padre.

Ad Astra: le nostre impressioni

Venezia ci riporta nello spazio, dopo l’affascinante e ben riuscito tentativo di Cuaròn 6 anni fa e dopo la stucchevole riproduzione del primo sbarco sulla Luna l’anno scorso. Di certo lo spazio è divenuto nel cinema contemporaneo il luogo metaforico prediletto per raccontare l’ignoto, dell’umanità in generale così come della psiche individuale, come lo era stata l’Africa centrale in Heart of Darkness di Conrad, cui il film deve moltissimo del suo immaginario e delle sue tematiche. Lo spazio rimane il contesto e il luogo più affascinante e accattivante, anche dal punto di vista estetico. Come il film dimostra con immagini travolgenti e da capogiro, lo spazio permette di realizzare delle riprese spettacolari, di grande effetto, così come scene assai disorientanti. Da questo punto di vista Ad Astra riesce perfettamente nella resa visiva dell’avventura di un astronauta nello spazio.

Ad Astra a Venezia 76

L’immensità del cosmo dialoga anche con la vita interiore del protagonista: all’esplorazione di quel luogo egli ha dedicato tutta la sua vita, a discapito degli affetti terrestri, che si sono distaccati da lui come i pezzi delle navicelle su cui ormai è abituato a salire. Da qui un’ennesima declinazione del tema del viaggio, che si trasforma immediatamente in un addentrarsi sempre più rischioso e delicato nei propri ricordi, nella propria personalità, nella sempre più disperata e scomposta ricerca del sé. Brad Pitt è abbastanza bravo a rendere l’idea di questo processo di trasformazione del personaggio, specialmente attraverso la micro-mimica facciale. Ma, come detto sopra, si tratta di una metafora trita e ritrita, che risulta un po’ tanto scontata così come la finale rivalutazione dei sentimenti affettivi innalzati a valore universale, dopo un tragitto all’insegna della più profonda solitudine. Per quanto il film voglia evidentemente distaccarsi dalle storie raccontate dalle grandi produzioni, rimane vittima di temi e soluzioni già abbondantemente affrontate dal cinema e dalla letteratura, che non vengono salvate purtroppo dall’impatto visivo delle immagini o da riferimenti ai capolavori di Coppola e Kubrick, esplicitamente citati dal regista. Troppo facile il richiamo a 2001, quando si tratta di realizzare un film sullo spazio…

Un tentativo, quello di James Gray, di sondare in parallelo lo spazio e i traumi personali, i dolori individuali, che però non coglie nel segno come dovrebbe e vorrebbe. Troppe perplessità sorgono nello svolgimento dell’avventura del personaggio di Roy nello spazio, sia di natura meccanica/fisica sia di natura narrativa. La sceneggiatura pecca fondamentalmente di originalità e lo sviluppo della storia diventa estremamente prevedibile così come l’evoluzione del personaggio, un difetto che va ad intaccare direttamente la fruizione del film, il quale risulta alla fine esageratamente diluito da passaggi troppo prolissi o troppo improbabili.

Ad Astra

valutazione globale - 5

5

Un'avventura nel macro/micro-cosmo poco originale

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Ad Astra: dichiarazioni e curiosità

Alla conferenza stampa di Ad Astra erano presenti il regista James Gray e gli attori Brad Pitt, Liv Tyler e Ruth Negga.

Il regista ha raccontato di essere stato affascinato nei documentari sullo spazio dalla potenza di quell’oscurità insondabile, da quel nero che ha influenzato enormemente lo sviluppo delle riprese, della fotografia e della scenografia. Inoltre ha detto che l’intento era quello di unire il micro con il macro cosmo, sottolineando che “in the tiny comes the universal”. Ha aggiunto di essere stato ispirato da diversi lavori della letteratura e del cinema, dai quali ha intenzionalmente “rubato” molti aspetti e passaggi. Tra questi, ha detto che un posto speciale è occupato dal romanzo di Moby Dick, di cui il personaggio di Tommy Lee Jones cita alcuni passi. Inoltre, ciò che più gli interessava era giocare con il potere del mito, dell’archetipo creato dalle fonti letterarie e cinematografiche più che reinventare qualcosa di nuovo.

Brad Pitt ha agilmente evitato di rispondere a delle domande particolarmente irrilevanti e superficiali (utili solo a fare un po’ di spocchioso gossip), raccontando invece che ha dato molto valore, nella sua interpretazione, al recupero e al dialogo con i dolori che il suo personaggio, come tutti noi, cerca di reprimere e lasciarsi indietro. In una società in cui le persone, per lavoro o per abitudine, sono costrette a negare le proprie emozioni, i propri traumi e i propri sentimenti, egli ha giocato con un recupero graduale di questi, per costruire l’evoluzione del suo stesso personaggio.

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