Quando uscì la notizia che tra i progetti futuri di Marco Bellocchio ci sarebbe stato anche un adattamento cinematografico del best seller di Massimo Gramellini Fai bei sogni, molti reagirono alla notizia con un misto di incredulità e timore. Cosa può spingere un regista come Bellocchio ad occuparsi di un testo rimasto nella classifica dei libri più venduti per oltre 50 settimane e apparentemente lontano dal mondo del regista di Buongiorno, notte? Lontano non tanto nella storia raccontata (in un certo qual modo speculare a quella messa in scena da lui nel 1965 ne I pugni in tasca) quanto nel suo essere diventato in poco tempo un libro da passaparola, un libro pop (nell’accezione di popolare) lui che si è sempre tenuto alla larga dalle mode.
La trama di Fai bei sogni
Il film ripercorre fedelmente al libro la storia di Massimo rimasto orfano della madre a 9 anni. L’adorata madre che con lui giocava, scherzava, faceva i compiti, lo proteggeva dalle immagini ‘forti’ trasmesse dal televisore di casa. Un’assenza, grande come un macigno, che si porterà dietro per il resto della vita con la consapevolezza di non aver mai superato del tutto la perdita fino a quando, trent’anni dopo, scoprirà una terribile verità su come sono andate effettivamente le cose.
Retorica evitata a metà
Bellocchio cerca in ogni modo di evitare la retorica presente nel libro di Gramellini, costruendo un film incentrato sul lungo processo di elaborazione del lutto e di presa di coscienza da parte del protagonista (un buon Valerio Mastandrea che interpreta il Massimo adulto) dell’incapacità di provare quei sentimenti scomparsi alla tenera età di 9 anni con la morte della madre. Non sempre, però, ci riesce. Il tentativo di rendere autoriale un testo scritto con un linguaggio semplice, fluido e immediato cede nelle eccessive lungaggini che Bellocchio si concede. Due ore e un quarto di film sono troppe e qualche sforbiciata in fase di montaggio avrebbe sicuramente giovato sulla migliore riuscita del film.
Presenti i temi cari a Bellocchio
I temi tanto cari al cinema di Bellocchio li ritroviamo tutti in Fai bei sogni, dall’adolescenza al rapporto figli-genitori. Molto ben costruito dal regista emiliano è la fredda relazione tra il piccolo Massimo e il padre (Guido Caprino), che ha il difficile compito di tenere per sé una scomoda verità al fine di proteggere il figlio. Bellocchio dà il meglio di sé anche quando racconta l’adolescenza di Massimo sul quale incombe la presenza astratta del fantasma Belfagor, presente nei momenti più bui vissuti dal ragazzino, memore del film horror visto insieme alla madre.
Scarso livello emotivo
Le parti migliori del film sono quelle iniziali e finali dove il rapporto tra Massimo e la madre si fa poesia. Purtroppo nella parte centrale la pellicola non riesce ad evitare certe scene didascaliche, piatte e noiose, trasmettendo allo spettatore in sala uno scarso livello emotivo dovuto anche ad una fotografia (di Daniele Ciprì) troppo cupa, confermando quei dubbi che un’operazione del genere affidata in mano a Marco Bellocchio poteva presentare.
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