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Waco

Waco: recensione della miniserie con Michael Shannon e Taylor Kitsch

Waco è una delle migliori miniserie che si siano viste negli ultimi anni, ben girata, ben recitata, emozionante e intensa. Qualcosa che tutti dovrebbero vedere perché rappresenta un pezzo importante della storia della TV.

Waco: la sinossi

Waco racconta la storia del tragico assedio del compound nel quale aveva sede la setta Davidiana, avvenuto nel 1993.

Waco

Lo show ci racconta con dovizia di particolari quello che è stato uno dei momenti più bui della recente storia americana, ponendo un grande focus sui protagonisti, il leader del culto David Koresh (Taylor Kitsch, True Detective) e il negoziatore dell’FBI Gary Noesner (Michael Shannon, Boardwalk Empire, Animali Notturni, La forma dell’acqua).

Si intrecciano alle loro storie quelle degli altri componenti della setta e quelle dei membri del team dell’FBI che furono responsabili di questa controversa vicenda.

Waco: le nostre impressioni

Partiamo dalla fine: nonostante la storia fosse ben nota e il suo esito finale non certo misterioso, l’ultimo episodio di Waco è stato capace di creare un livello di tensione e di emotività nello spettatore come ben poche altre serie sono state in grado di fare.

WacoI meriti sono ascrivibili a molti, a partire dal creatore, showrunner e regista John Erick Dowdle, che crea un episodio privo di momenti nei quali lo spettatore possa respirare, claustrofobico e sviluppato con un montaggio serrato e frenetico, in cui l’uso dei suoni, dei colori, delle immagini che restano scolpite nella mente di chi guarda si alternano e si rincorrono, sviluppando quel senso di ansia e disperazione, quella vertigine che ci accompagna in questa lunga caduta verso l’abisso che ci lascia senza fiato alla fine ma consci di aver assistito ad un momento di televisione importante e grandioso.

Meriti da dare anche ai due protagonisti che in quest’ultimo episodio riescono a superare ulteriormente i limiti posti dalle ottime interpretazioni fornite negli episodi precedenti: Shannon e Kitsch non bucano lo schermo, lo sfondano proprio, ed è difficile scegliere quale dei due sia stato più magnetico e versatile nella sua interpretazione, dalla speranza al dolore, alla frustrazione e alle lacrime del negoziatore capo dell’FBI Gary Noesner (autore di uno dei due libri su cui si basa lo script, l’altro è di David Thibodeau) che fanno da contraltare alla folle ingenuità, seguita dalla disperata realizzazione e dalla tragica conclusione della storia di David Koresh.

WacoMeriti anche al resto del cast, perché nessuno è fuori luogo e ogni personaggio, sia sul lato Davidiano, sia sul lato FBI è pieno, intenso, arrogante e tragico, compassionevole e dolente. Un ritratto vario e variegato di un’umanità bloccata per 51 giorni fuori e dentro il compound di Mount Carmel.

Ma tutti e sei gli episodi sono una grandiosa e tragica cavalcata verso l’ineluttabile, un’impresa difficile quando si realizza una storia la cui conclusione è nota e quando il centro della narrazione è uno stallo, nel quale niente si muove se non le emozioni: la tensione, la speranza, la frustrazione, il dolore. E questo è stato Waco, una splendida rappresentazione dei sentimenti e della miseria umana, un monito forte e profondo su quanto ogni irresponsabilità, ogni scelta sbagliata, ogni violenza portino sempre a tragedie inenarrabili.

Waco - la serie

Valutazione globale - 9

9

Imperdibile

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Waco: un giudizio in sintesi

WacoWaco è una serie che va vista, non sembra una serie facile, non è una serie facile, non tanto per la difficoltà narrativa, quanto per la complessità e la pienezza del racconto che ci portano in posti del nostro animo che non vogliamo spesso vedere.

La cura tecnica, le grandi capacità nell’uso del mezzo televisivo che qui sfuma largamente in quello cinematografico, lo spessore immenso dei due attori protagonisti, supportati da un cast che si rivela essere di prim’ordine, riescono a creare quello che è un pezzo di storia della televisione e al tempo stesso una narrazione importante e fondamentale per il messaggio di cui si fa portavoce.

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About Andrea Sartor

Cresciuto a pane (ok, anche qualche merendina tipo girella o tegolino... you know what I mean... ) e telefilm stupidi degli anni 80 e 90, il mondo gli cambia con Milch, Weiner, Gilligan, Moffat, Sorkin, Simon e Winter. Ha pianto davanti agli uffici dell'HBO. Sogno nel cassetto: pilotare un Viper biposto con Kara Starbuck Thrace e uscire con Number Six (una a caso, naturalmente). Nutre un profondo rispetto per i ragazzi e le ragazze che lavorano duramente per preparare gli impagabili sottotitoli. Grazie ragazzi, siete splendidi

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