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Dunkirk

Dunkirk: la recensione del nuovo film di Christopher Nolan

Dunkirk, La trama

Dopo il salto nel futuro di Interstellar (2014), il regista londinese torna indietro nel tempo e sceglie come soggetto l’evacuazione delle truppe inglesi dalla cittadina francese di Dunkerque durante l’inarrestabile avanzata tedesca del 1940. DunkirkDunkirk tratta appunto di un’imponente e impotente ritirata, di una corsa a tempo per la salvezza: il meno epico di tutti i temi di guerra. Tre sono i filoni narrativi che compongono, ciascuno con diverso sviluppo temporale, l’ordito della trama:

1) l’odissea di Tommy (Fionn Whitehead), soldato semplice, nella spiaggia del borgo francese, dove migliaia di commilitoni, radunati in composti drappelli, aspettano rassegnati i soccorsi dal mare e guardano con terrore al cielo da dove piombano senza sosta le bombe degli Stuka tedeschi;

2) l’eroica mobilitazione della piccola barca capitanata da Mr. Dawson (Mark Rylance), una delle tante imbarcazioni civili che, ottemperando ai comandi della marina inglese, fanno vela per Dunkerque per prestare soccorso ai compatrioti;

3) le vicissitudini del pilota di un caccia Spitfire (Tom Hardy) che sorvola lo stretto della Manica per neutralizzare i bombardieri nemici e proteggere le navi ausiliarie inglesi.

Dunkirk il nostro approfondimento

Dunkirk, il nuovo film di Christopher Nolan, è approdato nei cinema accompagnato dai trionfali peani della critica anglosassone: il “film dell’anno”, un “capolavoro impressionista”, già “pietra miliare” del genere bellico-psicologico. Con maggiore prudenza, evitando ogni eccesso di retorica, possiamo parlare di un film di buona fattura, suggestivo sul piano sensoriale e godibile dal punto di vista narrativo. Né di più né di meno.

Come è tipico dello stile di Nolan, l’incastro delle linee spazio-temporali volge con studiato montaggio – tramite un gioco di anticipazione e di retromarcia – verso la convergenza: in questo indubbiamente il regista di Memento e Interstellar si può considerare ormai un veterano.

L’estetica di Dunkirk

Il punto di forza del film, diversamente che in altre pellicole nolaniane, sta più nell’approccio immaginifico che nel funambolismo della trama, qui volutamente minimale: Dunkirknella trilogia del Cavaliere oscuro e in Inception (2010) il plot, con il suo frenetico incalzare, non dava tregua, s’imponeva su qualsiasi altro elemento, mentre in Dunkirk è il grande affresco, la cura della fotografia (esaltata dalla qualità video delle riprese in IMAX 5 perf-65mm), a imporsi sulla mente dello spettatore. Iconiche, quasi surreali, le scene di massa girate nella spiaggia, quel lembo di terra in cui, sotto le bombe nemiche, i soldati inglesi attendono impotenti il loro destino. Qualcosa di simile forse si era già visto, ma con maggiore espressionismo, nelle scene di guerra di Pink Floyd The Wall (1982) di Alan Parker.

L’anti-Soldato Ryan

Lo stile realistico, quasi documentaristico, ricorda alcune intuizioni registiche di Salvate il soldato Ryan (1998) di Steven Spielberg; tuttavia, in aperta contrapposizione al film di Spielberg, con Dunkirk Nolan non insiste troppo nel marcare l’importanza del singolo uomo, piuttosto accentua la dimensione corale, collettiva, dell’esercito inglese. Se nel film di Spielberg gli Stati Uniti mandano un gruppo di soldati a salvare un solo uomo (storia da leggere all’insegna del culto dell’individuo che è tipico della mentalità americana), in Dunkirk il Regno Unito mobilita ogni sua forza, per quanto piccola, per recuperare la totalità del suo esercito.

Non solo: Soldato Ryan iniziava con la violenta liberazione delle spiagge francesi da parte degli alleati; Dunkirk racconta proprio l’abbandono di quelle spiagge da parte di un gruppo di disperati in fuga dalla guerra. Qui non c’è più spazio per la psicologia del singolo: lo stesso protagonista, Tommy, è un soldato qualunque (e “Tommy” era proprio il nomignolo utilizzato per designare i giovani soldati inglesi), privo di individualità, privo di particolare profondità. Interscambiabile con un qualsiasi altro soldato.

L’ossessione per il tempo

Guardando Dunkirk, si ha l’impressione che Nolan abbia sistematicamente ricercato qualsiasi stratagemma narrativo per giocare ancora una volta sulla nozione di tempo.Dunkirk Tra soldati che aspettano l’alta marea facendo il conto delle ore e un Tom Hardy che fa i calcoli sul cruscotto del suo Spitfire per cercare di capire quanta benzina gli resta, il tempo domina incontrastato nel suo fatale precipitare. La tensione è generata proprio da questo semplice, se vogliamo banale, espediente: tutti nel film hanno i minuti contati. A suggello di ciò è il tema della colonna sonora composta dall’immancabile Hans Zimmer, tema che parte proprio con il ticchettio di un orologio. Non si tratta di una grande novità per chi, come Nolan, ha praticamente puntato tutto, scrivendo la sceneggiatura di Interstellar, sulle implicazioni paradossali della teoria della relatività ristretta di Einstein, ma resta pur sempre un vecchio trucchetto buono per un piacevole intrattenimento.

Dunkirk, tiriamo le somme

In conclusione Dunkirk non è, per chi scrive, un capolavoro, né tanto meno il capolavoro di Nolan (niente a che vedere con la genuinità di scrittura e regia che è Memento), e tuttavia è un film di guerra che al cinema risulta del tutto godibile. Soprattutto, al contrario del resto della filmografia di Nolan, non dura troppo: questa volta – con buona pace del regista inglese – risparmierete del tempo.

In attesa di vederlo al cinema vi consigliamo di vedere il trailer.

valutazione globale

L'anti-Soldato Ryan

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