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Chiamatemi Anna: recensione del pilot della nuova serie Netflix

Fu così che anche Netflix, dopo supereroi, adolescenti problematici, politici corrotti, carcerate sui generis, propose ai suoi abbonati una serie di stampo classico come Chiamatemi Anna. Una serie per tutta la famiglia, con una storia ai più già conosciuta grazie al celebre romanzo di Lucy Maud Montgomery, “Anna dai capelli rossi”, che negli anni ’80 ebbe una trasposizione televisiva a cartoni animati oltre ad una miniserie canadese trasmessa anche in Italia da Raiuno.

La trama di Chiamatemi Anna

Chiamatemi AnnaSiamo nell’Isola del Principe Edoardo, in Canada, all’inizio del ‘900. Due anziani fratelli, Marilla e Matthew Cuthbert, vivono in una fattoria in campagna chiamata Green Gables. Matthew, col passare degli anni, accusa problemi di salute e da solo non riesce più ad occuparsi della mole di lavoro che comporta la vita agricola. Insieme alla sorella decide così di adottare un ragazzo che gli possa dare una mano nelle mansioni da fare. Però, a causa di un malinteso, ai due fratelli viene affidata una bambina di nome Anna Shirley. In un primo momento i due non ne vogliono sapere: una bambina non è adatta a portare avanti la fattoria. Ma ben presto dovranno ricredersi quando Anna, nonostante i traumi passati, si dimostra una bambina sveglia, scaltra e anche un po’ combinaguai.

Coming-of-age dell’altro secolo

Chiamatemi AnnaChiamatemi Anna è in tutto e per tutto un coming-of-age dove una ragazzina orfana di appena 13 anni deve rimboccarsi le maniche e trovare il suo posto nel mondo. Lo deve fare con le unghie e con i denti sfidando i pregiudizi di una società, quella di un’isola canadese dei primi del ‘900, chiusa e bigotta che vede ancora la figura dell’uomo come lavoratore – quello che porta il pane a casa – e la figura femminile in cucina e dedita alle faccende di casa. La piccola Anna, dal carattere forte e deciso nonostante la giovane età, ribalterà i ruoli scompigliando le convenzioni sociali dell’epoca. Non tutto per lei sarà facile. Anna, nonostante un’apparente corazza esterna, dentro di sé è molto fragile e le ingiustizie subite (che a volte sfociano anche in terribili atti di violenza) negli anni passati in orfanotrofio fanno di tanto in tanto capolino in flashback che svelano quanto da lei passato. Anna porta con sé anche una fantasia e un’immaginazione che la fanno apparire come un pulcino appena uscito dal guscio. Tutto quello che si trova attorno a lei – gli alberi, il sole, la natura nella sua totalità – le appare come magnifico e straordinario e si diverte a dare nomi evocativi ai luoghi che vede per la prima volta. Il viale di meli in fiore diventa il “Candido Sentiero della Gioia” mentre uno stagno diventa il “Lago delle Acque Lucenti”.

Astenersi chi cerca qualcosa di originale

Il primo episodio, che avrebbe beneficiato maggiormente di una durata inferiore (siamo sull’ora e mezza scarsa), fa il suo dovere entrando subito nel vivo della storia senza perdersi in troppi orpelli iniziali come spesso accade altrove. Chi cerca qualcosa di originale e innovativo deve starne alla larga. Chiamatemi Anna, come già sottolineato in apertura, si presenta come una serie classica volta ad intercettare un pubblico di giovanissimi prevalentemente femminile (forse il target più debole di Netflix). Chi invece vuole sentirsi rassicurato, staccare la spina, essere partecipe di una storia pulita e colma di buoni sentimenti allora questa è la serie che fa al caso vostro.

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Valutazione globale

Serie per famiglie

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About Daniele Marseglia

Ricordo come se fosse oggi la prima volta che misi piede in una sala cinematografica. Era il 1993, film: Jurrasic Park. Da quel momento non ne sono più uscito. Il cinema è la mia droga.

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